SOCIOLOGIA
LE RADICI FILOSOFICHE
NATURALISMO E CONTRATTUALISMO:
La sociologia non è sempre esistita ma è nata storicamente da una costola
della filosofia. In precedenza era ai filosofi che si chiedeva di spiegare il
funzionamento e le cause dei fenomeni della natura, dell’essere umano, della
società e solo nei secoli più recenti le singole discipline si sono emancipate,
sviluppando procedure e metodi propri e divenendo così delle scienze empiriche.
Il termine sociologia è stato usato per la prima volta dal filosofo francese Auguste Comte nel suo Corso di filosofia positiva. Per
molti secoli era stata dominante una concezione che potremmo definire naturalistica, di matrice aristotelica, secondo la
quale la società umana sarebbe un fatto del tutto naturale scaturito dalla
socievolezza istintiva dell’uomo. I filosofi del XVII secolo cominciarono
invece a vedere con chiarezza che l’uomo è tuttavia per natura restio a
subordinare se stesso e i propri interessi alle esigenze di una collettività di
altri uomini. Emerse anche il problema fondamentale della compatibilità tra
individui e norme, i filosofi dunque formularono la teoria del contratto sociale. Tra gli essere umani vi sarebbe una
sorta di tacito accordo, un patto non scritto che essi avrebbero implicitamente
stipulato per fissare delle regole di convivenza certe
e condivise, a cui tutti devono sottostare. Questo stato di vita
naturale e solitaria comportava tuttavia grandissimi disagi e difficoltà per la
sopravvivenza di ciascuno. Tutti erano esposti infatti non solo alle minacce
provenienti dagli eventi naturali ed agli animali selvatici, ma anche a quelle
provenienti dagli altri uomini, i quali, come sosteneva Hobbes, rappresentavano
gli uni per gli altri un pericolo: homo
omini lupus, diceva, cioè l’uomo è lupo per gli altri uomini
MONTESQUIEU E LO SPIRITO DELLE LEGGI:
Durante l’Illuminismo, ci si rese conto che
lo stato di natura e il contratto sociale non potevano essere eventi reali
storicamente avvenuti, e che dunque essi dovevano essere solo delle ipotesi
astratte. Tra i contributi più significativi di questo periodo vi è quello del
barone di Montesquieu, che mise in evidenza come la teoria del contratto
sociale sia priva di attenzione per l’evoluzione storica delle culture. L’opera
principale di Montesquieu, lo spirito delle leggi, costituisce il primo tentativo rilevante di fornire un’analisi
empirica dei fatti sociali. Montesquieu è il primo a mettere in rilievo come molti caratteri
della società dipendano per esempio dal clima, delle attività svolte dai suoi
membri e dal tipo di territorio. Le norme che governano la vita sociale non
sono leggi assolute fissati una volta per tutte e valide per l’intera umanità,
ma dipendono dal variare delle tante condizioni interne ed esterne che accompagnano
la storia della civiltà.
JEAN-JACQUES ROUSSEAU:
Nello stesso periodo un altro illuminista francese Jean
Jacques Rousseau ebbe il merito di introdurre una nuova variabile
nell’indagine sulla società. Ammesso che l’uomo sia originariamente vissuto in
uno stato di natura e che in seguito abbia deciso di istituire delle norme a
cui sottomettersi, resta ancora da decidere se esse costituiscono di fatto un
miglioramento per la vita umana o se, al contrario, non abbiano portato con sé
un peggioramento. Per Rousseau la storia dell’umanità riunita in società è
fatta di disuguaglianze e ingiustizie: è una storia di degenerazione
e di corruzione rispetto all’iniziale stato di natura, in cui tutti erano a suo avviso liberi e uguali. Ciò non
significa che per Rousseau si debba auspicare un ritorno allo stato di natura,
di per sé impossibile. Sebbene sia stata la società a causare i mali più
grandi, soltanto alla società spetta il compito di eliminarli. Il problema è
dunque quello di individuare i criteri su cui fondare
una convivenza più equilibrata e più giusta.
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